Di seguito, riporto, in breve, uno dei temi che ho sviluppato nel libro di cui sono curatrice “I sensi ritrovati. Il corpo del terapeuta nell’incontro clinico”, a cura di Bergamaschi, M., Piermartini, B. (2024), edito da FrancoAngeli.
Il titolo del capitolo è “Là dove le parole non arrivano: la vergogna”.
Di seguito un breve estratto.
Sappiamo che le emozioni sono risposte neurobiologiche adattive (Fisher, 2017). Poiché orientato alla sopravvivenza, il sistema mente-corpo o corpo-mente non agisce per caso: ogni risposta sensoriale, emotiva o cognitiva tende a distanziare il dolore. L’obiettivo delle emozioni (ex moveo) è, infatti, quello di portare ad un movimento fisico che allontani l’organismo dallo stimolo dannoso, nel caso delle emozioni avvertite come negative, o spingerlo verso fonti benefiche nel caso delle emozioni avvertite come positive (Van der Kolk, 2006). La vergogna non fa eccezione. Improvvisa e dirompente, si manifesta con l’incapacità di pensare e con il desiderio di fuggire o nascondersi. In maniera simile all’ansia, funziona come segnale di pericolo: suggerisce che non è sicuro farsi vedere.
Nell’esperienza di vita di un individuo, potrebbe non essere stato sicuro mostrare alcune emozioni: il pianto, il disappunto, la frustrazione, ma anche la gioia, l’entusiasmo, la soddisfazione perché questo stimolava – e in età evolutiva, spesso, continua a stimolare - reazioni screditanti, derisione, disprezzo, azioni violente nel caregiver.
Quando ci vergogniamo vorremmo nasconderci e scappare, ma non possiamo. Questo, del resto, è proprio quello che succede quando la violenza, nelle sue diverse manifestazioni – fisica, verbale, sessuale - irrompe e colpisce l’individuo: delle difese di sopravvivenza che condividiamo con gli altri animali, la sottomissione è l’unica possibile. Fuggire non si può, attaccare neanche. Nel suo modello basato sulla dissociazione strutturale, Janina Fisher (2017) parla della vergogna come di una risposta di sottomissione mediata dal sistema parasimpatico che appare, nel contesto dell’abuso e della violenza, quella più saggia o più percorribile.
Spesso, il rossore del volto o del collo, la pelle chiazzata di macchie rosse sono la manifestazione di qualche altra emozione saggiamente soffocata, silenziata: la rabbia così come la gioia.
Nel capitolo del libro, attraverso due frammenti clinici, mostro la funzione altamente adattiva di questa emozione e il modo di accoglierla quando sopraggiunge nel qui ed ora della seduta.
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